Mercoledì 7 - Giovedì 8
The Tree of Life Di Terrence Malick. Con Brad Pitt, Sean Penn, Jessica Chastain, Fiona Shaw, Joanna Going. Drammatico, durata 138 min. - India, Gran Bretagna 2011
Sean Penn in una scena del film
Malick guarda al mistero della vita con irriducibile e
commovente meraviglia
Texas, anni Cinquanta. Jack cresce tra un padre autoritario ed esigente e una
madre dolce e protettiva. Stretto tra due modi dell'amore forti e diversi,
diviso tra essi per tutta la vita, e costretto a condividerli con i due fratelli
che vengono dopo di lui. Poi la tragedia, che moltiplica le domande di ciascuno.
La vita, la morte, l'origine, la destinazione, la grazia di contro alla natura.
L'albero della vita che è tutto questo, che è di tutte le religioni e anche
darwiniano, l'albero che si può piantare e che sovrasta, che è simbolo e
creatura, schema dell'universo e genealogia di una piccola famiglia degli Stati
Uniti d'America, immagine e realtà. L'attesa della nuova opera di uno degli
sguardi più dotati e personali dell'arte cinematografica è ricompensata da un
film tanto esteso, per la natura dei temi indagati, quanto essenziale. Popolato
persino da frasi quasi fatte, che la genialità del regista riesce a spogliare di
ogni banalità e a resuscitare al senso. Malick parla la sua lingua inimitabile,
le cui frasi sono composte di immagini (tante, in quantità e qualità) e di
parole (molte meno) in una combinazione unica, senza mai pontificare. Si ha più
che mai l'impressione che con questo film, che parla a tutti, universalmente,
non gli interessi comunicare per forza con nessuno, ma farlo innanzitutto per
sé. Testimone di una capacità rara di sapersi meravigliare, ha realizzato un
film che non si può certo dire nuovo ma nel quale Terrence Malick si ripete come
si ripropone il bambino nell'uomo adulto, per “essenza” vien da dire: ci si può
vedere la maniera o, meglio, ci si può vedere l'autore. Del film si
mormorava addirittura che avrebbe riscritto la storia del cinema e in un certo
senso The Tree of Life fa anche questo, senza inventare nulla ma
spaziando dall'uso di un montaggio emotivo da avanguardia del cinema degli
esordi ad una sequenza curiosamente molto vicina al finale del recentissimo Clint Eastwood, Hereafter.
Il confronto, però, scorretto ma tentatore, non si pone: la passeggiata di
Malick in un'altra dimensione è potente e infantile come può esserlo solo il
desiderio struggente che nutre il bambino di avere tutti nello stesso luogo, in
un tempo che contenga magicamente il presente e ogni età della vita. Ecco allora
che il film non sarà nuovo ma rinnova, ritrovando un'emozione primigenia,
fondendo ricordo e speranza. L'ultimissima immagine non poteva che essere un
ponte. (Marianna Cappi - MYmovies) |
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